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La scuola che vogliamo e il referendum

In questo primo anno di applicazione della legge 107 c’è stato quel peggioramento delle condizioni di vita nelle scuole che avevamo previsto. Gran parte dell’impegno di queste ultime è stato rivolto a tamponare le falle di una legge che ha prodotto cambi di maestri e professori in quantità molto superiore agli anni precedenti, oltre a docenti del potenziamento poco e male utilizzati perché non corrispondenti alle esigenze delle scuole. Tutto questo ha tolto tempo per la riflessione e la progettazione. La gestione del presente ha invaso la scena, relegando in un angolo la necessità di sfruttare ogni possibilità per costruire la scuola che vogliamo. Il semplicismo, la faciloneria e la fretta del governo hanno condizionato l’attività delle scuole e, quel che è più grave, le conseguenze ricadranno sulle migliaia di studenti che in questo presente caotico si giocano la possibilità di acquisire conoscenza di sé e opportunità per il proprio futuro.

La scuola che vogliamo

Noi abbiamo un’altra idea. Nella scuola che vogliamo le responsabilità sono condivise, nessuno se ne fa carico per tutti e nessuno ne viene sollevato. La scuola che vogliamo è parte attiva, dalle sue strutture alle risorse umane, nel successo formativo di ciascun alunna e alunno, tanto quanto nel suo insuccesso. Porre al centro del progetto educativo gli studenti vuol dire una scuola che garantisca quell’apprendimento che li liberi da qualsiasi condizionamento, accettando di restare sempre “condizionata” dai loro atteggiamenti e bisogni. Pensiamo a una scuola che abbia un punto di forza nella diffusione delle responsabilità e nella collaborazione, dove il dirigente ha responsabilità alte e specifiche che convivono con quelle dei docenti all’interno di una gestione inclusiva e partecipata. Vogliamo una scuola che sia un laboratorio di inclusione, che accolga e valorizzi tutte le diversità. E soltanto la scuola pubblica può esserlo, garantendo quel livello di conoscenza reciproca e di coesione che si può realizzare solo lungo il tempo della scuola e non trova pari in nessun altro luogo e momento della vita. Per questo saremo sempre contrari a finanziamenti privati diretti a singole scuole che ne aumenterebbero le diseguaglianze perché condizionati dal ceto sociale delle famiglie. Serve un progetto di scuola forte, capace di affrontare il problema della dispersione (un milione di studenti persi negli ultimi cinque anni) mettendo al centro il rinnovamento della didattica con curricoli che sappiano misurarsi con i nuovi modi di apprendere e di vivere dei giovani. Nella scuola che vogliamo l’insegnamento non deve essere più visto come un’attività che si può svolgere e premiare individualmente: la scuola, al fondo, è un gruppo di persone che si assume la responsabilità della formazione degli allievi. Bisogna valorizzare gli insegnanti che operano come volano del miglioramento di tutti, ma questo necessiterà di un nuovo sistema di formazione condiviso e capace di cambiare davvero i modi dell’insegnare.

Il referendum

Ci vuole dunque un’altra idea di scuola, diversa da quella contenuta nella legge, ma diversa anche da quella del passato: una scuola profondamente innovata, che non si costruirà certo semplicemente abrogando alcuni punti specifici della legge che rimarrà comunque perfettamente coerente con il paradigma individualista e liberista oggi dominante. Molti insegnanti del Cidi firmeranno la richiesta di referendum, e poi voteranno SI. Perché è un SI all’abrogazione di parti della legge che abbiamo criticato fortemente durante tutto l’iter di approvazione, con documenti, interventi, audizioni parlamentari, partecipazione a scioperi e manifestazioni. Quelle norme non aiutano la scuola, anzi ne accentuano le difficoltà e rappresentano una battuta d’arresto rispetto al miglioramento della sua qualità. Il percorso per realizzare una nuova scuola è tutt’altro che facile. Richiederà tempo per poter crescere e diventare consapevole patrimonio dell’intero paese. Ma è solo dalla scuola che può nascere, col contributo di tutti coloro che alla scuola tengono, che vi insegnano, studiano e lavorano. Sta a noi iniziare questo percorso.

Giuseppe Bagni
presidente nazionale del Cidi

 

Roma, maggio 2016

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