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Facciamo che un errore non tiri l'altro

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Aimc, Associazione Italiana Maestri Cattolici
CIDI, Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti
Conferenza Universitaria Nazionale di Scienze della Formazione

 

Si poteva sperare che a fronte dei tanti nuovi problemi con cui le scuole sono state chiamate a fare i conti in questo inizio d'anno segnato dall'avvento degli albi territoriali, delle candidature dei docenti e delle chiamate dirette, le scuole potessero vedere risolto (o almeno avviato a soluzione) quello del precariato, ma non è stato così. Non avevamo fatto i conti con l'incapacità dell'amministrazione centrale di organizzare un giusto concorso. Un concorso giusto è obbligatoriamente un concorso serio, capace di produrre una graduatoria di merito a cui attingere per coprire i posti mancanti, ma deve essere coerente con la preparazione di docenti già pluriselezionati e abilitati, in possesso quindi dei titoli per insegnare e che lo fanno già da anni. Non è giusto un concorso che chiede di dimenticarsi dei percorsi di specializzazione  universitaria per l'insegnamento e della didattica svolta in classe per riprendere in mano i vecchi libri della laurea magistrale.

Invece questo è ciò che è successo, con programmi caratterizzati dall'enciclopedismo e nozionismo di sempre; con quesiti della prova scritta giudicati da personalità di indubbia competenza "assurdi" e "incoraggianti il dilettantismo"; con tempi per rispondere talmente stretti da premiare "l'infarinatura" in luogo della vera conoscenza.

Invece di una selezione si è avuta una decimazione col risultato di riprodurre una nuova e ampia fetta di precariato.

 Sia chiaro che non si intende qui mettere in discussione la scelta del concorso, peraltro strumento sancito costituzionale, ed è anche probabile che il giudizio debba essere diversificato per le diverse classi di concorso e per i diversi settori dell'istruzione, ma è indispensabile rivederne completamente la forma e i contenuti, perché se il concorso boccia metà dei candidati in possesso di abilitazioni acquisite al termine di percorsi universitari che prevedevano prove preselettive e almeno due valutazioni, boccia insieme ad essi anche l'università e le scuole.

E già qualcuno ventila la necessità di pensare ad altri soggetti più affidabili a cui affidare la formazione dei docenti, senza nessuno che abbia sottolineato le difficoltà in cui sono state messe le università per gestire percorsi di specializzazione continuamente riformati senza aver mai attivato una seria riflessione nel merito; con ritardi gravissimi nell'attivazione dei percorsi e dei tirocini causati dalla lentezza della macchina burocratica ministeriale.

Un'analisi talmente superficiale apre al sospetto che stiano entrando in campo interessi diversi rispetto a quello della qualità della formazione, ma quello che è certo è l'errore grave che si commette liquidando con una valutazione sommaria il tema della formazione dei nuovi docenti, e con esso quello della formazione continua di tutti. Un errore che diventa ancora più grave in un momento come l'attuale in cui ci si appresta a ripensare l'intero apparato della formazione.

 Si potrebbe realizzare davvero un sistema unitario e coordinato che comprenda sia la formazione iniziale dei docenti, sia la formazione in servizio, in cui università, scuole e associazionismo siano coinvolti in un quadro di collaborazione strutturata nei diversi momenti e percorsi formativi, con una chiara distinzione dei rispettivi ruoli e competenze.

Ciò che vorremmo fosse discusso a fondo è come superare il vecchio schema che vede la teoria affidata all’università e la pratica affidata alla scuola. Questa scissione teoria/ prassi abbraccia modi di concepire la cultura assai consolidati, difficili quindi da rimuovere, ma questa scissione deve finalmente essere superata perché ha prodotto danni evidenti nella società e nel campo dell'educazione.

Occorre pensare ad una formazione che agisca su tre ambiti: quello della formazione antropo-psico-pedagogica, quello delle didattiche disciplinari e quello dei laboratori. Ma la collaborazione tra università, scuole e associazionismo diventa essenziale in quanto da un lato è l'unica cornice nella quale si possono trovare le competenze necessarie per coprire i tre ambiti, dall'altro permette una contaminazione reciproca sui metodi, contenuti, riflessioni che permette di far crescere, insieme ai soggetti in formazione, anche i soggetti responsabili della formazione.

 Vorremmo fossimo tutti consapevoli che quest'anno ci viene offerta un'occasione preziosa: per ogni docente che passa di ruolo ce ne sarà uno della scuola che dovrà esserne il tutor. Un tale esercito di docenti, chiamati ad osservarsi confrontandosi su obiettivi, strategie e metodi può essere il volano capace di spingere l'intera scuola verso quei processi riflessivi che finora non vi hanno mai trovato i tempi e gli spazi necessari.

È adesso, quindi, che acquista grande significato promuovere una stretta collaborazione con l'università e le associazioni professionali: un'alleanza formativa giocata finalmente sul campo è in grado di far crescere, insieme agli insegnanti di domani, la scuola e l'università di oggi.

Dobbiamo sperare che i tanti errori commessi non vanifichino anche questa opportunità.

 

Roma, ottobre 2016