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Audizione parlamentare sul DDL 2994. Intervento di Giuseppe Bagni presidente nazionale del Cidi

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Se cresce la scuola cresce il Paese

Il tempo per riflettere

Il Cidi ritiene necessario lo stralcio del tema delle assunzioni da destinare ad un apposito decreto legge per permettere di svolgere un'approfondita riflessione sugli altri aspetti del disegno di legge che riguardano quale scuola vogliamo costruire per cambiare il nostro Paese. Le assunzioni devono essere fatte il più rapidamente possibile per dare una risposta ai tanti docenti precari in attesa da anni e per garantire il regolare ed efficace avvio del prossimo anno scolastico.

Tempi adeguati all'ascolto e al confronto con le scuole e in Parlamento sono indispensabili per correggere gli errori e creare quel clima di condivisone necessario per far diventare le scuole il motore del cambiamento.

 

Partiamo dai bisogni della scuola e degli alunni

Conosciamo i problemi della scuola: dagli anni Settanta abbiamo rilevazioni internazionali che ci danno certezza del fatto che il rendimento scolastico degli studenti dipende fortemente dalla regione di appartenenza. I risultati che si ottengono nella scuola superiore sono legati non solo al merito dei singoli, ma anche all'indirizzo di studi scelto e questa scelta è ancora fortemente connotata socialmente.

Sappiamo che le differenze di rendimento sono basse tra gli alunni di una stessa scuola e molto alte invece tra scuole diverse, a testimoniare che il livello socio-economico di riferimento della scuola oggi ha più influenza sugli esiti che non quello della famiglia.

Abbiamo una dispersione scolastica che non riusciamo a far scendere se non al ritmo di uno zero virgola ogni anno da molti anni, quando per raggiungere gli obiettivi di Europa 2020 dovremmo abbatterla di almeno 4 punti in ogni anno per tutti gli anni che mancano al traguardo.

Due ricerche Ocse pubblicate nei giorni scorsi (IlSole24ore.com del 5 aprile scorso) rivelano che gli alunni italiani studiano a casa tre volte le ore degli studenti finlandesi raggiungendo risultati nei test europei nettamente più bassi. Sempre da queste ultime analisi pubblicate risulta che ci contendiamo con la Cina il primato negativo della diseguaglianza, calcolato come divario nei risultati tra gli studenti avvantaggiati sotto il profilo socio-economico rispetto agli svantaggiati.

 

Scelte che aggravano i problemi

Di fatto la scuola italiana paga nei confronti internazionali l'essere la più diseguale d'Europa e purtroppo il disegno di legge propone scelte che se non modificate peggioreranno la situazione, facendo confluire risorse dove ce ne sono di più e togliendole dove già mancano.

Provvedimenti come la destinazione del 5 per mille e lo school bonus in favore di singole istituzioni infatti, avranno esiti in valore assoluto logicamente proporzionali alla ricchezza del territorio e al livello socio-economico delle scuole. Interventi perequativi successivi potranno mitigare gli effetti ma non cambiarli di segno.

Il Cidi chiede quindi che tutte le risorse raccolte con tali strumenti vengano destinate ad uno speciale "Fondo nazionale contro la dispersione".

Inoltre, se si vuole davvero intervenire sulla dispersione in maniera efficace bisogna destinare i docenti e i dirigenti migliori nelle scuole più difficili ed anche rispetto a questa esigenza l'albo regionale con chiamata diretta da parte del dirigente peggiorerà la situazione in quanto è prevedibile che le scuole migliori si assicureranno i docenti più esperti.

 

Manca un progetto di scuola

Ma ci vuole un progetto di scuola, non la scuola dei mille progetti; ci vogliono curricoli che sappiano misurarsi con i nuovi modi di apprendere e di vivere dei giovani. Ci vogliono sperimentazione e ricerca che sorreggano e diano senso all'autovalutazione; ci vuole una scuola che sappia valorizzare gli insegnanti migliori e nello stesso tempo far crescere tutti ponendosi al centro di un sistema nazionale di formazione degli insegnanti. Una formazione  che, quando si entra a scuola, non scompaia,  ma cambi aspetto per divenire una parte costitutiva della nostra professione, al pari del progettare gli interventi educativi, del fare lezione, valutare gli esiti, confrontarsi collettivamente.

 

La formazione degli insegnanti

Noi crediamo che la priorità oggi sia la costruzione di un sistema nazionale di formazione in servizio capace di attivare quel “processo attraverso il quale si sviluppano e si organizzano la ricerca e l’innovazione educativa”, garanzia di costante miglioramento della dinamica tra insegnamento e apprendimento. E' solo questo processo che connota le scuole come centri di ricerca e di sperimentazione.

La formazione in servizio dunque non è un corollario della professione docente, ma deve legarsi alla ricerca didattica e diventarne parte costitutiva, al pari del progettare gli interventi educativi, fare lezione, valutare gli esiti, confrontarsi collettivamente.

Lo sviluppo di una formazione in servizio adeguata è possibile soltanto con strutture permanenti nelle scuole. Solo una scuola così organizzata potrà effettivamente realizzare un curricolo per competenze e sviluppare, in piena autonomia e con i necessari supporti esterni, attività di ricerca e sperimentazione, dando vita a un processo costantemente documentato e valutato, capace di connotarsi come un percorso di ricerca azione permanente.

 

La vera responsabilità del dirigente

Nel Disegno di Legge, nonostante vi sia una significativa inversione di tendenza con l'investimento di risorse importanti nella scuola, la prevista assunzione di una fetta consistente del precariato e dichiarazioni d'intenti condivisibili sul ruolo dell'autonomia, il quadro complessivo si colloca in un altro paradigma in cui domina una dimensione individuale del lavoro nella scuola. Questo aspetto emerge con prepotenza nella figura plenipotenziaria del nuovo dirigente, ma anche più sottilmente nell'idea del premio individuale al "buon docente"  e in quella del voucher di 500€ per l'aggiornamento personale, che ciascun insegnante potrà spendere come vuole nel libero mercato della cultura e dell'aggiornamento.

Serve piuttosto una cifra consistente da assegnare alle scuole autonome, chiedendo loro piani di formazione annuali da documentare e sottoporre a valutazione, interna ed esterna; in questo modo si raggiungerebbero risultati assai più significativi, cambiando perfino le prassi più consolidate del lavoro scolastico.

La scuola ha uno dei punti di forza nella diffusione delle responsabilità e nella collaborazione tra gli ottimi dirigenti e insegnanti che vi lavorano; un punto di forza messo in serio pericolo dal rischio di conflitto permanente prodotto dalla scelta di affidare alla responsabilità del solo dirigente il piano triennale dell'offerta formativa e la scelta dei docenti dall'albo regionale.

Questa cultura della decisione individuale non è mai appartenuta alla scuola che è forse l'unica istituzione prevista dalla Costituzione che sia riuscita a costruire, attraverso una storia fatta di faticose deliberazioni, una comunità di professionisti (dirigenti e insegnanti) che cooperano nel realizzare un progetto educativo. Non c'era altra strada per farcela.

E non è stata certo la paventata lentezza di questo iter decisionale a bloccare lo sviluppo dell'autonomia scolastica, ma piuttosto i costanti tagli nelle risorse degli ultimi decenni e la mancanza di un progetto nazionale che indicasse la direzione nella quale le scuole, in autonomia, dovevano muoversi.

La responsabilità del dirigente scolastico deve coesistere con altre responsabilità; sarebbe un disastro se gli insegnanti fossero ricacciati nel lavoro individuale e nell’anonimato assembleare del Collegio dei docenti.

La competenza e la conseguente responsabilità dell’insegnamento e dell'apprendimento deve essere assunta dalla professionalità insegnante.  É qui il nodo: I poteri del dirigente scolastico non ne escono né umiliati né diminuiti: il dirigente dirige, ma non dei “sottomessi”. Il rapporto tra dirigente e insegnante è tra due competenze e quindi tra due diverse condivisioni di responsabilità, nessuna dipendente dall'altra.

Il ruolo di dirigente non può comprendere l'appropriazione delle competenze della funzione docente, bensì di quelle relative al governo dell’intero sistema dell’unità scolastica, e soprattutto a valorizzare le competenze degli insegnanti nel costruire e nel governare il progetto/processo di insegnamento-apprendimento.

 

Un processo decisionale cooperativo

È  questa la direzione a cui guardano i paesi OCSE più evoluti dove la richiesta di accountability, non solo nella scuola ma in tutta la pubblica amministrazione, viene connessa con quella di una governance inclusiva e partecipativa, che consiste nel rendere accessibile e cooperativo il processo decisionale.

La scuola ha fondato le sue conquiste più importanti su un clima di cooperazione reso possibile proprio dalla impersonalità delle norme che hanno garantito percorsi pubblici per abilitazioni, concorsi e assunzioni.

Non siamo d'accordo sulla premiabilità del 5% dei docenti della scuola da parte del dirigente, quando la scuola ha già il fondo incentivante che dovrebbe servire proprio a riconoscere il merito di un lavoro ben fatto.

 

La scuola pubblica, laboratorio di inclusione

Ma tra le conquiste della scuola c'è anche tutto quello che finora si è fatto e si continua a fare per l'educazione interculturale, l'integrazione degli alunni stranieri e dei diversamente abili. Non mancano certo le difficoltà, ma tutti dovrebbero essere concordi nel sostenere che questa è la direzione giusta perché il livello di conoscenza reciproca e di coesione che si costruisce nel tempo della scuola non ha pari in nessun altro luogo e momento della vita.

Eppure si è deciso di favorire chi sceglie di mandare i propri figli in scuole private. Fra esse non mancano realtà importanti che giustificano appieno la tutela costituzionale della loro esistenza, ma è sufficiente un banalissimo confronto tra il livello di pluralismo culturale presente fra gli iscritti delle scuole private e quello delle scuole pubbliche e sulla presenza di stranieri e diversamente abili, per capire che è difficile far passare quei contesti come laboratori dell'inclusione. Allora, come si può ammettere che i genitori che aderiscono al progetto pubblico di scuola inclusiva paghino contributi volontari (obbligatori) i quali rappresentano frequentemente più del 50% delle entrate della scuola, e poi si detassino i genitori che scelgono le scuole private, certamente "scuole libere" ma anche scuole che liberano dal contatto con la diversità?

 

Deleghe al Governo

Riteniamo infine che le 13 deleghe al Governo previste nel ddl siano un errore perché vi sono previsti temi troppo importanti, cruciali per il miglioramento della scuola italiana, che non possono essere affrontati senza un serio dibattito parlamentare. In particolare il riordino degli organi collegiali, le norme per il diritto allo studio e l'istituzione del sistema integrato 0-6. 

Crediamo inoltre che i criteri direttivi previsti siano insufficienti e spesso troppo vaghi, per determinare in quale direzione debbano andare queste importanti riforme; allo stesso tempo è inaccettabile la specifica previsione di non finanziare queste deleghe, perché temi come il diritto allo studio necessitano prioritariamente di un finanziamento da parte dello Stato.

 

L'idea che il Parlamento abdichi alla sua funzione legislativa in favore del Governo, delegando senza i necessari criteri direttivi e senza finanziamenti su materie che sono determinanti per una qualsiasi riforma scolastica, è ingiusta e inammissibile.

Roma, 10 aprile 2015

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