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IL CURRICULUM DELLO STUDENTE NEI CONFINI DELLA SCUOLA

di Giuseppe Bagni

Nessuno sentiva il bisogno di doversi misurare, in un momento così difficile, anche con il Curriculum dello studente, ma così è: partendo dalla lontana legge 107/2015 quest’anno arriva a regime all’esame di maturità. Le Istituzioni scolastiche non avevano certamente l’urgenza di assolvere ad un altro adempimento compilativo, né forse gli studenti di preoccuparsi di certificare le loro attività personali in un anno in cui queste sono state soprattutto un bel ricordo del passato.

Il problema non è se dare attuazione da subito oppure rinviare il Curriculum dello studente, più interessante è capire perché un dispositivo datato 2015 produca oggi un dibattito così intenso. La risposta che convince di più è che nel frattempo è cambiato il mondo e la scuola vede messo in discussione il suo posto nel nuovo scenario.

Troppi appetiti sono cresciuti, troppa confusione tra il piano dell’educazione e quello dell’istruzione, troppo aiuto offerto ancora prima che la scuola ne abbia fatto richiesta, e soprattutto stabilito quale aiuto serva e per fare cosa. All’ossessione valutativa che ha colto alcuni insegnanti in questi mesi finali di scuola non deve aggiungersi quella del “recupero del programma”. Come se di questi 14 mesi di scuola tra presenza e DaD restasse solo un vuoto di apprendimenti e non anche un pieno di esperienza sul quale occorre avviare una riflessione seria.

Il Curriculum dello studente appare oggi anacronistico alla maggioranza delle persone, con il suo chiedere agli studenti di collezionare esperienze formative certificabili, dimenticando che quella drammatica della pandemia, che ha colpito l’infanzia e l’adolescenza nella dimensione fondamentale della socialità, è l’esperienza più intensa vissuta da tutti e tutte, e la più urgente da rielaborare, anche se non soggiace alla logica degli attestati di frequenza in carta intestata.

Eppure senza questa riflessione guidata e assistita perdiamo una risorsa fondamentale per fare di questa estate davvero il “ponte per l’anno prossimo”: i nostri studenti hanno scoperto qual è per loro il valore della scuola, della sua routine che scandisce il tempo della loro crescita. La scuola è andata a cercare i suoi allievi nelle case ma ha trovato solo gli allievi che hanno cercato a loro volta la scuola. C’è stata intenzionalità e consapevolezza da entrambe le parti. Da qui si può ripartire, da questo “desiderio di scuola” e da risorse vere, che risolvano il problema delle classi affollate, dell’assenza di una medicina scolastica, di un precariato che oggi è a livelli record in Europa.

Sul Curriculum dello studente pesa questa nuova realtà, ma anche una contrapposizione di visioni che ha radici antiche. Da un lato quella che mette al centro gli studenti nella loro interezza, valutando ogni loro apprendimento, formale informale o non formale che sia; dall’altro quella che vede l'istruzione come trasmissione di conoscenze e definiti piani di studio con una netta divisione di compiti: alla scuola i piani e agli studenti lo studio. Una contrapposizione responsabile del naufragio di dibattiti che potevano essere ben più generativi: solo per fare un esempio recente, il legame tra conoscenze e competenze trasformato in un conflitto del tutto inconsistente.

Sarebbe il momento di andare oltre.

La scuola ha un mandato: l’istruzione; trasferire il patrimonio culturale. Se vi riesce dà un contributo fondamentale all’educazione, ma questa è la sua specificità. Il Curriculum dello studente è il percorso di ciascuno dentro l'istruzione. Non è e non deve essere un curriculum vitae: è la base di partenza, quel percorso di crescita guidata che è indispensabile affinché ciascuno abbia gli strumenti culturali per costruirselo in piena autonomia.

Ci sono molte altre esperienze educative che un adolescente può vivere, un bagaglio importante che si affianca, in piena libertà di scelta, al percorso scolastico e di cui la scuola è giusto che tenga conto. Ma non certo nell’ultima pagina del racconto della scuola che è il colloquio orale della maturità: dovrebbe lasciare traccia in ogni capitolo, essere l’aggancio alla realtà, agli interessi ed esperienza vissuta di ogni allievo che la scuola integra, amplia, sistematizza. Una scuola che, libera dalla “prigionia del concreto”, da quel concreto, appunto, sa partire. I saperi informali e non formali acquisiti altrove hanno grande valore se si pongono alla base dell’istruzione che li formalizza e sistematizza; se vengono semplicemente giustapposti ai formali finiscono su rette parallele che, come sappiamo, non trovano il punto di contatto alla maturità ma all’infinito.

La sfera di vita di ragazze e ragazzi non si esaurisce nella scuola, e nemmeno ci va ricondotta. Deve restare non-scuola, fuori da ogni spinta classificatoria e tantomeno certificativa che ne intaccherebbero il senso. Se una bambina gioca in cortile non sta facendo educazione fisica; se gioca al calcio alla parrocchia non deve correre a chiedere la certificazione al parroco.

Per evitare questa deriva il Curriculum dello studente deve restare uno strumento leggero, che ha prioritariamente il valore di dare consapevolezza agli studenti del loro percorso scolastico e offrire alla scuola conoscenza sugli interessi ed esperienze di ciascun alunno come elemento prezioso per il fare scuola quotidiano, ma nella sua componente non scolastica deve essere valutato materiale sensibile, unicamente riservato alla scuola e agli alunni. Per essere chiari: non dev’essere resa possibile una ricerca sul Portale unico che permetta di incrociare dati di scuola con certificazioni esterne degli alunni. Sarebbe il massimo della disparità se dal sistema d’istruzione pubblico fosse possibile raccogliere i nomi di coloro che, ad esempio, hanno preso 100 alla maturità e anche la certificazione di un soggiorno di studio a in Inghilterra a spese di una famiglia evidentemente benestante.

Dall'altro lato chi difende la scuola così com'è, o addirittura vorrebbe riportarla indietro di decenni, non capisce che questa scuola non funziona, non fa inclusione, non rimuove gli ostacoli, non sa sfruttare, nel fare scuola, le differenze di ciascun alunno e alunna lasciando che esse si trasformino in diseguaglianze. Questa scuola è il più grande nemico di sé stessa e offre ragioni a chi chiede che si faccia da parte e lasci il compito di combattere la povertà educativa alla miriade di altri soggetti formativi che non vedono l’ora di avere l’incarico esclusivo.

Ci vogliono risorse economiche, classi ben al di sotto dei 30 alunni e oltre, insegnanti preparati a ciò che li attende: dobbiamo pretendere queste condizioni per il cambiamento, non per la conservazione o peggio per la restaurazione.

La scuola ha a tutt’oggi confini pericolosamente indefiniti e nello stesso tempo chiusi, impermeabili a ciò che sta al di fuori: è necessario, invece, definirli e pretenderne il rispetto, ma nello stesso tempo renderli attraversabili, aperti al territorio di cui è parte attiva, e aperti, per le ragazze e i ragazzi, alle scelte di vita successive e al mondo del lavoro a cui si connette nella scala del tempo.

È questo lo scenario in cui la scuola deve stringere alleanze per porsi al centro del dibattito del Paese.
Oggi non lo è. Oggi al centro del dibattito è sapere se è aperta o chiusa!
Quale scuola debba essere quella in cui speriamo di tornare al più presto è un tema prigioniero di un dibattito ristretto e senza visione.

 

Roma 3 maggio 2021

 

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