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Valutazione, RAV e scuola infanzia

Paola Conti risponde a Giancarlo Cerini

 

Ho letto con attenzione i 10 punti elaborati da Giancarlo e vorrei condividere alcune riflessioni.

a) Intanto sono contenta di sentire che, finalmente, si dà seguito a quanto scritto nelle Indicazioni nazionali sul tema della valutazione. Mi fa piacere perché questo è in linea con quanto abbiamo chiesto più e più volte, totalmente inascoltate. C'era sempre il timore (non del tutto superato, a giudicare dalle cautele con le quali la cosa viene presentata) che la scuola non fosse pronta, che i rischi fossero maggiori delle potenzialità positive.

b) Mi fa piacere anche perché conferma pratiche in atto nella scuola da almeno 20 anni. Pratiche che le scuole hanno realizzato costruendo strumenti, sperimentandoli, affinandoli, nella più completa solitudine.

c) Poiché nel gruppo di lavoro cui fa riferimento Giancarlo non sono presenti insegnanti di scuola dell'infanzia e non c'è una rappresentanza diretta della scuola statale, invio in allegato il documento di valutazione elaborato nella scuola dove lavoro. Non ho trovato il file, così ho scannerizzato la versione pubblicata su Scuolinfanzia nell'Ottobre del 2004.

d) Quella data (2004) credo sia abbastanza significativa per dire quanto tempo sia stato lasciato passare invano e quanto lavoro sia stato totalmente disconosciuto. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire, ma quel "tardi" ha prodotto i suoi effetti sul piano della fiducia e della motivazione delle insegnanti.

e) Ma veniamo al RAV. Si lamenta una certa "marginalità" della scuola dell'infanzia statale. Ma chi ha costruito il documento? Perché è stato costruito così? E' difficile non restare marginali se non ci sono riferimenti, se si usa un linguaggio "estraeo", se ci si basa su parametri non condivisibili.

f) Detto questo, pensare ad RAV "a parte", un "pre-RAV" a me sembra un rimedio omeopatico (uno di quelli che curano la malattia con la malattia). Il RAV originale è stato costruito così come lo abbiamo ricevuto nelle scuole per due motivi fondamentali: il primo riguarda la concezione della scuola dell'infanzia. Gli estensori pensano che non sia una scuola perché, al di là di tanti discorsi, resta la convinzione profonda che la scuola, quella vera, comincia a 6 anni (non a caso si chiama primaria). Per questo ci si "dimentica" così facilmente di citarla nei documenti, talvolta perfino nelle circolari. Perché è un po' scuola e un po' no, e quel po' di no prevale sempre; l'altro motivo è la "sfiducia" di fondo nelle capacità professionali di chi in quella scuola lavora. Cosa faranno mai le insegnanti della scuola dell'infanzia con un documento sulla valutazione? È strano come nessuno si sia preoccupato di cosa avrebbero fatto i colleghi della scuola primaria e quelli della scuola secondaria di secondo grado con i voti. Invece con noi ci vuole cautela. E a forza di non aspettarsi niente da noi, è successo che la profezia si è auto-avverata e la professionalità delle insegnanti di scuola dell'infanzia si è abbassata drammaticamente.

g) Ma un conto è partire dal dato di realtà per cercare di modificare in senso progressivo la situazione; altra cosa è constatare lo stato di "marginalità" nel quale questa scuola è stata confinata, certificandolo come stato di "minorità" che deve essere tutelato con strumenti speciali. È un po' come avere un bambino in sezione che presenta delle difficoltà di integrazione con il gruppo e, una volta osservata la problematica, pensare di risolverla mandandolo costantemente fuori della stanza.

6 gennaio 2016

 

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