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LETTERA AL GOVERNO CHE VERRÀ

Lettera al Governo che verrà

Come donne e uomini che si riconoscono e si impegnano nella scuola come Istituzione della Repubblica, in queste convulse settimane di campagna elettorale, vogliamo ribadire alcuni punti essenziali che dovrebbero a nostro parere orientare le politiche future del Parlamento e del Governo italiano e che rappresentano nodi fondamentali ancora irrisolti.

  • Una scuola di precari è una scuola precaria (e non inclusiva)
    La precarietà degli insegnanti, con il conseguente turn-over continuo, come emergenza strutturale della scuola italiana è una ferita che si rinnova a ogni anno scolastico. Il 25% degli insegnanti italiani è precario e un collegio docenti precario non può garantire qualità dell’insegnamento e funzionamento adeguato della scuola. La precarietà e lo iato ritenuto ormai fisiologico tra organico di diritto e organico di fatto assume livelli inaccettabili tra gli insegnanti di sostegno, precari per il 60% circa, a cui si aggiunge la farraginosa modalità di reclutamento di figure ritenute essenziali come gli assistenti igienico-personali e gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione, reclutamento appaltato agli enti locali che, com’è noto, soffrono di carenze croniche di fondi e sovente appaltano la scelta a cooperative private. La scarsità della retribuzione e i ritardi continui nel pagamento del servizio effettuato determinano un turn-over continuo anche di queste figure, motivo per cui l’alunno e l’alunna con disabilità si ritrovano spesso a subire un susseguirsi di profili professionali diversi, oltre alla precarietà del docente di sostegno della classe. Debellare la precarietà degli insegnanti, dotare le scuola finalmente anche di un organico funzionale stabile e certo, dare dignità contrattuale e professionale alle tante figure degli assistenti delle studentesse e degli studenti disabili costituirebbe forse la prima e più importante Riforma della scuola italiana.
  • “Non esiste scuola migliore dei suoi insegnanti”  (Giancarlo Cerini)
    La formazione in servizio appaltata a una scuola di alta formazione rischia di deresponsabilizzare le scuole e centralizzare la formazione. Occorre invece, contestualmente, ridare importanza e centralità alle scuole e rendere obbligatoria la formazione curata dai dipartimenti disciplinari, rendendo effettivo l’art. 6 del Regolamento sull’autonomia scolastica, secondo il quale “le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo tenendo conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali”. L’istituzione della figura del docente esperto, con decreto legge del 4 agosto, ci appare più come una boutade estiva ed estemporanea, considerando anche che i primi “docenti esperti” saranno individuati fra 10 anni e saranno 8000 a fronte di una platea di oltre 800.000 professionisti dell’istruzione. Decisioni simili dovrebbero tenere conto dei documenti prodotti dalle commissioni degli scorsi anni, e scaturire da ampie discussioni all’interno delle associazioni professionali, del CSPI, delle istituzioni scolastiche stesse. Ogni riforma della scuola dovrebbe avere quel carattere diffuso, condiviso ed entusiasmante che fecero coniare a Giancarlo Cerini la bella iunctura di “ballata popolare”.
  • Rilanciare il progetto curriculare 0-16
    L’estensione della scuola per tutti fino a 16 anni rappresenta l’obiettivo più importante da reinserire nell’agenda della politica scolastica. Significa da un lato ripristinare una conquista democratica che contribuisce a ridare alla scuola un compito di rilancio delle opportunità di emancipazione sociale e di lotta alle disuguaglianze e da un altro lato poter realmente operare alla costruzione del curricolo verticale per la cittadinanza (0-16).
  • Una scuola laica, democratica, laboratoriale, aperta alla complessità del mondo 
    La formazione culturale è un elemento costitutivo della cittadinanza consapevole. La scuola ne ha la titolarità ma si avvale del contributo di tutta la comunità: le famiglie, l’Ente Comunale, gli enti culturali, il terzo settore. L‘acquisizione dell’insieme coordinato del sapere e delle chiavi per accedervi non avviene attraverso la trasmissione bensì tramite la ricostruzione sociale delle conoscenze, che si realizza nel processo attivo di insegnamento/apprendimento. La scuola, come il resto della comunità educativa, deve assumere la forma di laboratorio di pratiche di democrazia. Laicità è una visione del mondo che richiede di mettere tra parentesi fondamenti e valori ultimi (religiosi o non religiosi), che ciascuno possiede, per considerare i problemi in una dimensione che salvaguardi i diritti delle persone, “senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
  • A scuola nessuno è straniero
    Infine rilanciamo con forza la necessità improrogabile dell’approvazione dello ius soli o almeno dello ius scholae. Le nostre studentesse e i nostri studenti devono finalmente essere riconosciuti a pieno titolo cittadine e cittadini italiani. La loro condizione di “stranieri” nega quotidianamente il senso stesso dell’insegnamento dell’educazione civica, poiché viene loro negata, fuori dalla scuola, quella stessa cittadinanza che praticano e abitano pienamente dentro le nostre aule.

Roma, agosto 2022

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